La nebbia indigena



"Una volta puó bastare, specialmente d' inverno, quando la nebbia indigena, la famosa Nebbia, trascina la città fuori dal tempo, rendendola più atemporale del sancta sanctorum di qualsiasi palazzo. La nebbia non cancella soltanto i riflessi, ma tutto ciò che abbia forma: edifici, esseri umani, porticati, ponti, statue. Il servizio dei vaporetti è sospeso, gli aeroplani non atterrano né decollano per settimane, le botteghe restano chiuse, la posta non arriva più. È come se una mano brutale avesse rovesciato come guanti tutte quelle infilate di stanze e avesse avvolto la città in quei tendaggi. La sinistra, la destra, l'alto e il basso si scambiano posto, e riesci a trovare la strada solo se sei del luogo o hai un cicerone. La nebbia è fitta, accecante e immobile. Quest'ultima qualità è però un vantaggio se devi uscire per una rapida commissione -per comprare le sigarette, diciamo-, perché allora, al ritorno, puoi infilare il tunnel che il tuo corpo ha scavato nella nebbia all'andata: è probabile che il tunnel resti aperto per mezz'ora. Nebbia vuol dire tempo per leggere, per tenere la luce accesa tutto il giorno, per non esagerare col caffè e con le riflessioni poco consolanti, per ascoltare le notizie della BBC, per andare a letto presto. In breve, tempo per obliare se stessi, nella scia di una città che ha smesso di farsi vedere. Senza volere, obbedisci alla città, specialmente se anche tu, come lei, non hai compagnia. Non essendo nato in questa città, puoi vantarti almeno di avere in comune con lei l'invisibilità".

Joseph Brodsky, Fondamenta degli incurabili.
Traduzione di Gilberto Forti.
Foto: Venezia.